Rue de Fleurus 27
Buongiorno, come state?
È mercoledì 9 novembre, io sono Antonio Roma e questa è Incipit.
Oggi parliamo di un appartamento in Rue de Fleurus 27 (6° Arrondissement di Parigi, sulla Rive Gauche), casa della scrittrice e poetessa americana Gertrude Stein e della sua compagna Alice B. Toklas, dal 1903 al 1938.
In questa casa Gertrude Stein mise insieme una delle prime collezioni di arte moderna, includendo tele di artisti avanguardisti come Picasso, Matisse, Derain, Cézanne.
Nel 1933, scrisse e pubblicò The Autobiography of Alice B. Toklas, un libro di memorie della sua vita a Parigi e della guida di un’ambulanza durante la prima guerra mondiale. Il libro divenne un bestseller.
Frequentavano casa di Gertrude Stein donne e uomini geniali che avrebbero contribuito a definire il modernismo in arte e in letteratura, diventando alcuni degli artisti e degli scrittori più importanti della storia.
Pablo Picasso ed Ernest Hemingway sono solo due delle molte sensibilità che abitarono la Parigi del primo dopoguerra con un habitus entusiastico di chi ha fame di vita, diventando vere e proprie, immortali, icone di eleganza e Bellezza.
Parigi era in quel momento storico la sola città al mondo, non solo in Europa, non conservatrice, come direbbe Hemingway, una festa mobile…
Ogni scrittore e artista (nasi, pittori, registi, scrittori, ecc.) che voleva ritagliarsi uno spazio nel mondo, decideva di lasciare ogni cosa, a cominciare dalla propria città, e andare a vivere il fermento, les années folles, gli anni folli e ruggenti del Novecento di Parigi, che non passa mai di moda e che rimane ancora oggi la più importante icona di eleganza al mondo.
Parigi era il centro del mondo e viveva un’epoca di grandi mutamenti in tutti i campi, da quello sociale alla letteratura, fino alle arti figurative; l’Art Nouveau lasciava il posto al Déco e nascevano movimenti di rottura come il Dada e il Surrealismo. I costumi liberali, il fermento intellettuale, il clima cosmopolita, i teatri, i caffè, il jazz, le gallerie d’arte attiravano da ogni parte del mondo nella capitale francese musicisti, scrittori, coreografi, cineasti e artisti in cerca di fortuna e celebrità. Per una straordinaria alchimia, nel periodo tra le due guerre, Parigi divenne il luogo dove tutto accadeva, il posto migliore dove essere giovani.
All’esperienza di questi anni Hemingway dedicherà molto più tardi il romanzo autobiografico Festa Mobile (che potrebbe dare il nome alla linea), pubblicato postumo, in cui ripercorre il suo cammino da aspirante scrittore ad affermato intellettuale, raccontando non solo la propria formazione, ma soprattutto offrendo al lettore lo spaccato di una Parigi in stato di grazia, protagonista di una vita artistica e culturale irripetibile.
Sfila nelle sue pagine una folla di personaggi eterogenei, le cui vite s’incrociavano nei caffè, nei locali notturni e nei salotti letterari e mondani: amicizie di lunga o breve durata, a volte drammaticamente interrotte, storie amorose a geometria variabile, in un tourbillon nel quale dominava la sete di vivere tutto e subito.
Protagoniste le donne, che durante la guerra, con gli uomini al fronte, avevano scoperto le proprie potenzialità nel mondo del lavoro e ruoli nuovi in una società ancora legata ai clichés ottocenteschi.
Tutto si accorciava, e non solo nella moda, dove si sforbiciava la lunghezza delle gonne e sparivano i grandi cappelli dall’ala ampia e ingombrante, sostituiti da piccole cloche aderenti alla testa: anche qui le forbici imperversavano nel nuovo taglio corto, detto alla garçonne – dal titolo di un romanzo che nel 1922 fece grande scalpore – quella garçonne (la maschietta) che sostituiva il mito della femme fatale.
Regina delle notti parigine Joséphine Baker, cantante e danzatrice arrivata in tournée dagli Stati Uniti nel 1925 con la Revue Nègre, divenne in breve la vedette del Teatro degli Champs-Elysées e la prima star nera di Parigi; gli uomini impazzivano per quella che uno dei suoi amanti, Georges Simenon, definì una vera sintesi di voluttà animale, giovane e vivace come il jazz, trepidante, ridente, brutale e candida, mentre le signore sulla spiaggia di Deauville scoprivano il fascino dell’abbronzatura – divenuta improvvisamente di moda – nel tentativo di assumere un colorito che si avvicinasse a quello della Venere nera.
Una novità rivoluzionaria, che ribaltava la tradizionale convinzione secondo la quale la carnagione delle signore doveva essere pallida ed eterea, dato che l’abbronzatura era l’inevitabile conseguenza del lavoro nei campi.
Grandi maestri della modernità in quegli anni raggiunsero l’apice della propria carriera: Matisse, Mondrian, Picasso, Braque, Modigliani, Chagall, Duchamp, De Chirico, Miró, Magritte e Dalí testimoniavano in dipinti, sculture, costumi teatrali, fotografie, ready made e disegni una stagione esaltante che vide fiorire, intrecciarsi e confrontarsi le principali tendenze nell’arte del Novecento.
Il carattere cosmopolita e bohémien di quegli anni si esprime attraverso i ritratti e i nudi della cosiddetta Scuola di Parigi, alcuni giovani artisti stranieri – tra i quali Modigliani, Chagall, Van Dongen – le cui opere sono caratterizzate da un linguaggio figurativo libero e individuale.
Nello stesso periodo, Picasso e Braque ripensano il cubismo in uno stile elegante e misurato, che Picasso trasforma in un moderno classicismo, rielaborando soggetti tradizionali come le bagnanti o le maschere della commedia dell’Arte, i Pulcinella e gli Arlecchini, protagonisti anche in opere di Severini e Derain; Matisse e Bonnard si esprimono con toni più naturalistici nelle sensuali figure femminili che popolano i loro dipinti. Con il dadaismo e il surrealismo irrompono sulla scena l’esuberanza creativa e lo spirito radicale dei movimenti d’avanguardia.
Ironiche, provocatorie e iconoclaste, le opere dei dadaisti prendono di mira le convenzioni della società borghese, mentre i surrealisti inseguono un progetto utopistico di valore universale: l’intento di restituire al mondo un significato nuovo, aprendo la strada alla liberazione spirituale e materiale dell’umanità, percorre le opere di Ernst, Miró, Magritte, Giacometti e Dalí, dense d’immagini oniriche e inquietanti, sospese tra echi di antichi miti e voci dell’inconscio.
Parigi in quegli anni fu una città unica al mondo, dove s’incrociarono e confrontarono tutte le avanguardie, in una febbre di vivere declinata in mille modi, una sorta di delirio che rendeva inconsapevoli del baratro al quale l’Europa si stava avvicinando.
Scriverà lo scrittore e diplomatico francese Paul Morand ricordando quel tempo: Scendevamo verso il 1939 come il 1900 verso il 1914, scivolando nell’abisso come nel piacere. Parigi non costituiva solo uno sfondo per la vita artistica, intellettuale e mondana che la animava, ma assumeva quel ruolo da protagonista che Hemingway in Festa mobile ricorderà con nostalgia:
Si finiva sempre per tornarci, a Parigi, chiunque fossimo, comunque essa fosse cambiata o quali che fossero le difficoltà, o la facilità con la quale si poteva raggiungerla. Parigi ne valeva sempre la pena e qualsiasi dono tu le portassi ne ricevevi qualcosa in cambio. Ma questa era la Parigi dei bei tempi andati, quando eravamo molto poveri e molto felici.
L’Incipit
E poi c’era il brutto tempo. Arrivava da un giorno all’altro una volta passato l’autunno. Alla sera dovevi chiudere le finestre per la pioggia e il vento freddo strappava le foglie dagli alberi…