La sacralità del vinile
Ascoltare musica su vinile è un’esperienza quasi sacra per gli amanti della musica. Il suono che emana da un disco in vinile è un richiamo all’autenticità, una qualità sonora che sembra avvicinarci all’essenza stessa della musica, con le sue imperfezioni e la sua ricchezza emotiva.
È un rituale: il delicato posizionamento dell’ago, il fruscio iniziale, creano un momento di attesa e anticipazione che non ha eguali nel mondo digitale.
Ogni ascolto è un viaggio, una celebrazione dell'arte nella sua forma più pura, dove ogni nota è preziosa.
Il vinile non è solo un medium, è un ponte verso un’epoca in cui la musica era un’esperienza fisica e tangibile, dove ogni copertina, ogni graffio su un disco racconta una storia.
In un’era dominata dal consumo veloce e digitale, il vinile ci ricorda di rallentare, di ascoltare con intento, di immergerci pienamente nell'arte e nelle sue sfumature. In breve, il vinile non è solo un modo per ascoltare musica; è un modo per vivere la musica con ogni fibra del nostro essere.
Buongiorno, come state? È venerdì 15 dicembre, io sono Antonio Roma e questa è Incipit featuring Caterina Cere, l’appuntamento con la newsletter Incipit dedicato alla musica e alle sue tracce nascoste e visibili.
Oggi parliamo di vinili e lo facciamo sia perché il cd si sta godendo la pensione sia perché l’hype per il ritorno della musicassetta si è spento. Di fatto l’unico modo per possedere fisicamente la musica è quello di comprare dischi in vinile.
Non è vero che è il supporto che suona sempre, necessariamente meglio. Ma è decisamente vero che il vinile ha un suono suo, morbido sui bassi, dolce sui medi e aperto sugli alti che spazza via anni e anni di massimizzazione e di compressione selvaggia volta a mettere tutte le frequenze in primo piano.
Il vinile è vivo, immersivo, caldo e avvolgente, è autentico. La dinamica nella musica è tutto e negli ultimi anni è stata la più grande vittima dei supporti digitali.
Il vinile dà calore ed evita la "guerra del loudness". I fan del vinile parlano sempre del "calore" che sentono ascoltando i dischi classici. Questa non è nostalgia, ma un vero fenomeno sonico.
Come ha spiegato l’ingegnere del suono Adam Gonsalves, il suono di fascia media che senti dal vinile offre un suono più piacevole e più caldo per le tue orecchie. Questo fenomeno è particolarmente evidente quando si ascoltano artisti rock classici come i Beatles, i Led Zeppelin o i Pink Floyd.
Posando la puntina sui solchi, il vinile ti obbliga ad un rispetto per la musica che altrimenti non avresti e proprio per la delicatezza di questa manovra, non puoi certo skippare i pezzi come fai selvaggiamente con gli mp3 o con lo streaming.
Ogni singolo granello di polvere influisce sulla musica, la cambia, rendendo l'ascolto ogni volta unico.
Quando poi il disco è troppo sporco, te ne devi prendere cura. È l'equivalente audio del cinema in pellicola. In una parola, è magico.
Anche quando salta, crea il paradosso di farti interagire fisicamente col suono, che è astratto, chiedendoti attenzione. Allora provi a mettere una moneta sulla puntina, ne cambi il bilanciamento in modo da assicurarti l'ascolto del pezzo. È un equilibrio fragilissimo, che dura da quando è stata inventata la riproduzione del suono. Ti senti parte di una meraviglia senza tempo.
Costa. Se ti sembra una nota negativa, dovresti pensarci due volte. Da quando fruiamo più o meno liberamente di tutta la discografia di un artista con un click, la musica è diventata (non solo ma anche) database, statistica, passatempo.
Quando paghi la musica invece gli dai un plusvalore che ti obbliga ad approcciarti ad essa in maniera differente, non più come a qualcosa di scontato, ma che vale un prezzo, che costa una rinuncia. Ti porta ad una scelta (perché non puoi comprare tutto), dunque ti porta implicitamente a pensare. Non è certo cosa da poco.
Quando poi vai ad ascoltare un disco per il quale hai speso dei soldi, mantieni un'attenzione che solitamente non hai verso una playlist di Spotify o un album scaricato.
Ecco il vero motivo per il quale ci ricordiamo tutti della musica ascoltata anni fa: mica perché era più bella, semplicemente avevamo meno dischi e li consumavamo.
La copertina, il retrocopertina, la foto gigante nel mezzo, le illustrazioni, i testi, tutto è della giusta grandezza per poterne godere a pieno. Non più un adattamento, ma una copia dell'originale e alcune sono vere e proprie opere d'arte visiva.
Altre, addirittura, ti fanno sentire vicino alla band, quasi da poterla toccare, come accadde con il primo ep dei Joy Division, "An ideal for living" (1977), che consisteva in un poster che diventava copertina, piegata in quattro dai membri della band. Sì, alcuni fortunati hanno in casa un disco col DNA di Ian Curtis sopra. Ben più interessante di un autografo.
Suona anche senza volume, e lì sta davvero il prodigio: capisci che la puntina crea il suono anche senza amplificazione, solo girando sui solchi. Avvicini le orecchie al disco, senti quel rumore simile ad un grammofono lontano e ti rendi conto che la musica nasce da lì, da un posto fisico. Gli dà forma. Valorizza le singole tracce perché puoi vederle, graficamente, scolpite sui solchi.
Il vinile ti permette di guardare la musica prima di ascoltarla.
Vale. A differenza del cd o della cassetta, un vinile avrà sempre una quotazione in termini monetari (se tenuto bene) e le diverse edizioni presenti sul mercato ti fanno fare lunghe ricerche su Discogs per capire che tipo di gioiello hai in mano, se luccica e basta o se è davvero un diamante, magari in edizione limitata.
Piace. Non esiste persona al mondo che non si emozioni davanti ad un disco in vinile. Può cambiare l’esito di una serata come, una volta, potevano solo i mixtape fatti su cassetta ad una persona speciale.
Puoi avere l’impianto stereo più tecnologico del mondo, l’iPhone più capiente, ma non c’è niente che possa battere la mossa del mettere fisicamente un disco sul piatto, di ascoltare il fruscio e di farlo partire.
Per me i dischi sono sacri. Si tengono come le cose preziose, si vendono solo se doppi, non si scambiano e non si prestano.